Classe 2 C s.a.
A.S. 2018/19
Barella Sofia, De Biasi Costanza Sofia, Lazzarin Davide, Milani Sofia, Zampirolo Alex.
SEA WATCH, LA TESTIMONIANZA DI UN VOLONTARIO
Da anni ormai assistiamo alla crescita smisurata del fenomeno dell’immigrazione. Per intervenire in caso di necessità esistono delle organizzazioni non governative. Queste associazioni, chiamate anche ONG, raccolgono fondi da donazioni private per attuare azioni di salvataggio, aiuto economico, sanitario e scolastico.
Non sempre però il loro impegno è necessario a soddisfare i bisogni delle persone che cercano nel nostro Paese e negli altri del ricco Occidente una nuova vita. A volte il loro intervento è bloccato da azioni politiche compiute dagli stati in cui operano; per esempio l’Italia negli ultimi mesi ha chiuso i porti, impedendo gli interventi di salvataggio delle imbarcazioni che arrivano dall’Africa.
Ha creato scalpore, per esempio, il caso della nave tedesca di una ONG, la Sea-Watch, alla quale, qualche mese fa, è stato impedito di attraccare in Italia col suo carico di esseri umani.
Dalla testimonianza a ilfattoquotidiano.it di Gennaro Giudetti, volontario italiano a bordo della nave della ONG tedesca, coinvolta nell’aiuto di migranti al largo delle coste africane, trapelano i particolari sul naufragio del 6 novembre 2018 costato la vita a circa 50 persone.
Il 6 novembre 2018, alle 7.30 del mattino, la nave ha ricevuto una chiamata dal Maritime Rescue Coordination Center (Mscc) di Roma: “A 30 miglia dalle coste libiche c’è un gommone con dei migranti a bordo – hanno comunicato gli operatori a Giudetti e ai suoi colleghi – Dirigetevi là, avrete l’appoggio della nave militare dell’Unione Europea e di un elicottero della Marina Militare Italiana”. Le chiamate con l’imbarcazione UE sono state stabilite e i militari hanno offerto il proprio aiuto, come si può sentire dalle registrazioni ormai pubbliche.
“Avevamo la posizione – continua Giudetti –, aiutati anche dall’elicottero che sorvolava il punto del naufragio, così da poterlo raggiungere più velocemente”.
Secondo le procedure adottate dalla ONG tedesca, durante le operazioni di salvataggio sono stati messi in acqua i due gommoni che avevano a disposizione: sul primo sono saliti Giudetti, un medico e un mediatore culturale, sul secondo il resto dell’equipaggio che parteciperà al soccorso in mare. “Mentre raggiungevamo il luogo del naufragio – continua il giovane volontario – abbiamo però iniziato a vedere i primi cadaveri galleggiare. Erano tutti morti e quindi abbiamo deciso di proseguire per cercare di trovare qualcuno ancora vivo. Ci siamo fermati quando abbiamo visto il corpo di un bambino di circa due anni. Abbiamo recuperato lui e, poco più in là, la madre che piangeva perché lo aveva visto morire”.
A mano a mano che si avvicinavano al gommone dei migranti, già intercettato dalla Guardia Costiera libica, le richieste di aiuto diventavano più forti e numerose. In tutto, i volontari della Sea-Watch recupereranno 59 persone ancora vive, più il cadavere del bambino. I morti stimati, invece, saranno 50. Arrivati sul luogo del naufragio, però, gli operatori umanitari si sono trovati di fronte a una scena che lo stesso Giudetti definisce surreale. “Quando ci siamo avvicinati, l’incidente tra la nave dei guardacoste libici e il gommone dei migranti era già avvenuto – ricorda Giudetti – Abbiamo subito notato che la Guardia Costiera aveva agganciato l’imbarcazione di queste persone, che era già danneggiata quando siamo arrivati, e l’aveva stretta al fianco della loro nave. Chi ha una minima esperienza di navigazione sa che si tratta di una manovra molto pericolosa, soprattutto quando il mare è un po’ agitato come quel giorno e le due imbarcazioni hanno dimensioni e capacità di resistenza diverse. Presumo che il naufragio sia stato causato da un danneggiamento del gommone o da un suo ribaltamento proprio a causa di questa manovra sconsiderata”.
Gli operatori della Sea-Watch provano comunque a salvare il maggior numero di persone possibili, mentre dall’altra parte, come testimoniano i video dell’intervento, nessun membro dell’equipaggio libico è sceso in acqua per prestare soccorso. Alcuni di loro sono rimasti sul ponte della nave a colpire con corde e pugni i migranti che provavano ad alzarsi, altri hanno lanciato dei salvagente in acqua. “Mi sono trovato a dover decidere a chi salvare la vita e chi lasciare morire – ricorda il volontario italiano – A un certo punto, alla sinistra del gommone avevo quattro donne che mi si sono aggrappate al braccio, mentre a destra ne avevo un’altra. Ho provato ad afferrarla, ma non ci sono riuscito. Ho visto la sua bocca riempirsi d’acqua e la sua faccia sparire sotto di me. Quando è tornata a galla, ormai, non c’era più niente da fare”.
Nel frattempo, la Guardia Costiera ha iniziato a inveire contro gli operatori impegnati nel salvataggio, a lanciare patate e fare loro dei video. “Incredibile, ci lanciavano patate mentre noi vedevamo persone affogare. Facevano i video mentre le persone morivano sotto i loro piedi”, aggiunge Giudetti ancora incredulo. “Ci siamo dovuti allontanare per cercare di farli calmare e sperare che iniziassero di nuovo a intervenire”. Ma a quel punto, i guardacoste hanno deciso che fosse meglio tornare sulle coste libiche. A niente sono valsi i numerosi avvertimenti dell’elicottero della Marina Militare Italiana che, inseguendoli, intimava ai guardacoste di collaborare con Sea Watch e fermarsi perché avevano ancora un uomo attaccato alla scaletta della nave. Quell’uomo era stato separato dalla moglie e dalla figlia, salvate invece dai volontari della ONG, e nel tentativo di raggiungerle si era alzato dal ponte della nave. Per questo, si vede nei video, è stato preso a pugni dai libici ed è finito in acqua. Non sapendo nuotare, si è aggrappato alla scaletta della nave che è partita veloce in direzione della Libia. “Voleva ricongiungersi con la propria famiglia perché sapeva che, tornando in Libia, rischiava di non rivedere mai più sua moglie e sua figlia – conclude Giudetti – Lo hanno visto sparire all’orizzonte, aggrappato al fianco di una nave diretta verso il Nordafrica”.
Perché invece di facilitare l’intervento della ONG gli scafisti hanno preferito boicottare la situazione? Forse per insabbiare situazioni che non devono venire alla luce? Quello che è certo è che avvenimenti simili non vanno dimenticati. Indipendentemente dall’opinione politica, ma seguendo un’ etica morale, aiutare il prossimo in difficoltà è sempre una buona cosa.